La vicenda della portacontainer Evergreen, incagliatasi nel canale di Suez e liberata dopo sei giorni, ha riportato l’attenzione dei media sul “Canale dei Faraoni”, e non è la prima volta. A destare interesse sono infatti i numeri che girano intorno ad una tra le più trafficate vie d’acqua a livello internazionale. Un vero e proprio “collo di bottiglia” lungo 190 km da cui passa il 13% del commercio marittimo internazionale. Per capirne meglio la portata economica, basterebbe pensare che il traffico giornaliero lungo il canale vale circa 9,6 miliardi di dollari al giorno. Eppure il blocco di qualche settimana fa potrebbe rappresentare “l’ultima grande crisi di Suez”. Insostituibile un tempo, il canale oggi è minacciato da una nuova rotta che in futuro, c’è da scommettere, attirerà l’interesse di molti: la rotta del nord.
Quando la geografia detta le regole
Per oltre due secoli la valenza strategica del canale è stata assoluta. Anello di congiunzione tra Mar Rosso e Mar Mediterraneo, ma soprattutto nodo di interconnessione tra Oriente ed Occidente, tra nord e sud, tra il blocco indo-pacifico e quello euro-atlantico- mediterraneo. La sua inaugurazione, il 17 novembre 1869, cambiò irreversibilmente le dinamiche internazionali. A modificarsi, tuttavia, non fu solo la velocità dei traffici commerciali, quanto, piuttosto, gli equilibri geopolitici dell’intero pianeta.
Quanti scontri, guerre civili e crisi politiche si sono consumati all’ombra del Canale! Persino il processo di unificazione della penisola italiana è stato “viziato” dall’intervento di questa o quella potenza che, con il controllo sull’Italia, intendevano mantenere l’egemonia nel punto cruciale dei commerci. (Vedi articolo: “L’unità d’Italia tra violenze, intrighi e mezze verità. Storia di una Nazione che ha trovato nel tempo la propria identità”)
Verrebbe da chiedersi: come si faceva prima della sua realizzazione?
Il paragone tra il “prima” e il “dopo” è improponibile. D’altronde l’idea di collegare il Mediterraneo con il Mar Rosso risale addirittura al 1800 avanti Cristo, quando, secondo alcuni autori antichi tra cui Aristotele, il faraone Senusret III avrebbe creato un primo canale per l’irrigazione, che poteva diventare navigabile nei periodi di piena, in seguito chiamato Canale dei Faraoni. Le prime testimonianze certe della sua realizzazione però risalgono a molto dopo, al tempo del faraone Necao II, che regnò attorno al 600 a.C.
Nel 1799 fu Napoleone Bonaparte a riproporre l’idea di un canale verso il Mar Rosso. Dovettero passare altri 50 anni, tuttavia, perché il sogno di Bonaparte divenisse realtà. Nel 1854 il diplomatico francese Ferdinand de Lesseps ottenne da Muhammad Said Pascià, allora sovrano dell’Egitto e del Sudan, una concessione per cominciare la costruzione del canale. Venne costituita la Compagnia del Canale di Suez, per il 51% in mano francese, che avrebbe avuto in gestione l’opera per 99 anni.
La costruzione cominciò nel 1859 e si concluse ufficialmente nel 1869 con la sua inaugurazione.
Partita da mente e mano francese, ben presto la gestione del Canale divenne oggetto di contesa con la Gran Bretagna, che non esitò a conquistare l’Egitto, acquistare il 44% delle quote della società e, nel 1888, dichiarare il canale un territorio neutrale, ma sotto la propria protezione.
Perché questo grande interesse? La risposta sono i movimenti economici e militari dell’intero pianeta. Dal punto di vista economico il tonnellaggio dei traffici si è intensificato sempre di più, raggiungendo il culmine quando i paesi del Golfo Persico sono diventati i principali esportatori di petrolio in tutto il mondo. Sul piano militare, invece, è innegabile che il canale rappresentò un nodo strategico utile all’Inghilterra, in tempi di guerra, per bloccare i rifornimenti ai paesi dell’Asse.
Dal II dopoguerra alla crisi di Suez
Negli anni del II dopoguerra le dinamiche cambiarono ulteriormente. L’Egitto di Gamal Abdel Nasser nel 1956 nazionalizzò la gestione del Canale, e in risposta il Regno Unito, la Francia e Israele invasero il paese. Questo periodo passò alla storia come “La crisi di Suez”. Si trattò di un breve lasso di tempo, soli 8 giorni, in cui fu chiaro al mondo intero come la geografia politica mondiale non fosse più scritta dalle solite nazioni. L’atto di forza dei tre stati non piacque, infatti, né agli Stati Uniti d’America, né all’Unione Sovietica. L’equilibrio fu trovato solo dopo il ritiro delle potenze occupanti e l’invio a presidio dell’area delle forze di peacekeeping della neo nata ONU.
Insostituibile un tempo, la rotta di Suez ha adesso una valida concorrente.
Tra alti e bassi, crisi politiche e chiusure forzate, il Canale di Suez ha mantenuto, se non rafforzato, il suo ruolo di nodo strategico del commercio internazionale, al punto che nel 2014 si è concretizzata l’idea di allargarlo, così da snellire ulteriormente il traffico e consentire alle navi di percorrerlo in tempi più limitati.
Eppure la crisi di qualche settimana fa ci ha fatto capire che, seppur strategico, Suez non è più l’unica via di comunicazione commerciale. Ne esiste un’altra, più breve, che con lo scioglimento delle calotte polari sembra diventare ogni giorno più allettante: la rotta del Mare del nord. Questa strada corre lungo la costa settentrionale della Russia attraverso i mari dell’Oceano Artico per 5.600 chilometri dallo stretto di Kara fino allo stretto di Bering. Il trasporto di merci dall’Estremo Oriente all’Europa attraverso il Canale di Suez richiede un viaggio di oltre 23.000 chilometri . Al contrario, la rotta marittima settentrionale è lunga poco più di 14.000 chilometri. Il risparmio in termini di tempo sarebbe di circa 10 giorni di viaggio, mentre dal punto di vista ecologico, il traffico attraverso tale passaggio ridurrebbe le emissioni di gas a effetto serra del 23% e l’uso del gas naturale liquefatto (GNL) come combustibile del 38%.
La nuova rotta consentirebbe, tuttavia, a due grandi potenze, Russia e Cina, di fare la parte del leone. Non a caso il 2 dicembre 2019, i due Paesi hanno inaugurato il gasdotto Power of Siberia, un’opera di 3.000 km che collega i campi siberiani russi alla Cina Nord-orientale. Inoltre, le aziende di Pechino svolgono un ruolo cruciale anche nella costruzione dell’Arctic LNG-2, il secondo progetto più grande di Mosca per il gas naturale attualmente in fase di sviluppo nell’Artico.
Gli equilibri mondiali, insomma, sono destinati ad evolvere rapidamente, e già in quest’ultimo periodo stiamo avendo le prime avvisaglie di ciò. Prepariamoci pertanto a nuove contese e altrettanto nuovi scenari, consci che l’Europa, per continuare a giocare da attore comprimario sullo scacchiere, dovrà seriamente rafforzare la coesione dei suoi Stati. In caso contrario le conseguenze potrebbero essere disastrose.