E alla fine la montagna ha partorito il topolino! Chi si aspettava che il neo Presidente del Consiglio in sella al suo destriero liberasse Roma e l’Italia, è andato deluso. Piuttosto, sembra abbia preferito firmare un trattato, o se volete, un armistizio. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una squadra di governo eterogenea in tutti i sensi, composta a tavolino, manuale Cencelli alla mano, degna di democristiana memoria. Un filo rosso col passato più recente, ma anche con quello più remoto, e qualche novità.
Pur senza entrare nel merito nelle competenze dei nuovi Ministri, ritengo, intanto, che un primo aspetto emerga in modo chiaro e inequivocabile: il governo Draghi guarda al nord molto più di quanto si rivolga al sud. Come si spiegherebbe, altrimenti, la quasi totale mancanza di rappresentanza delle regioni meridionali? Può una regione come la Sicilia, la quarta d’Italia per numero di abitanti, non avere nessun riferimento diretto al governo? Evidentemente sì. Nessun partito della nuova maggioranza sembra sentirne la necessità.
Ma andiamo oltre. Un altro aspetto, il più rilevante, riguarda il programma del Governo, a quanto pare ignoto ai più, forse persino alla compagine dei Ministri che ha già prestato giuramento al Quirinale nelle mani del Presidente della Repubblica. Circostanza, questa, confermata anche ieri dal contenuto del discorso di Draghi al Senato, apparso estremamente generico e astratto.
Superata l’euforia di questi giorni, emergeranno le prime incomprensioni, e temo che non dovremo attendere molto perché ciò accada, come le dichiarazioni rese nelle ultime ore da diversi nuovi Ministri lasciano già presagire. L’eccessiva eterogeneità della compagine non fa ben sperare, neanche con un leader autorevole qual è Mario Draghi.
Restare all’opposizione, per Fratelli d’Italia, è stata una scelta di estrema coerenza e responsabilità. Nessuno mette in dubbio la necessità di affrontare al meglio l’emergenza sanitaria ed economica, così come non si prescinde dall’esigenza di investire nel modo più corretto le risorse provenienti dal Recovery Fund. La lealtà e lo spirito di collaborazione, tuttavia, si manifestano nei fatti e nelle decisioni di volta in volta prese. Non nelle posizioni assunte. E nemmeno nelle poltrone occupate.
La via maestra sarebbe stata rappresentata dallo scioglimento delle Camere e dalla indizione delle elezioni politiche, fattore che non avrebbe impedito, nelle more della celebrazione del voto, un’assunzione di responsabilità dei partiti presenti in Parlamento rispetto ad adempimenti importanti per la gestione della pandemia e delle risorse disponibili per combattere la crisi del sistema economico reale.
Per converso, la motivazione addotta dal Presidente della Repubblica cozza, platealmente, con lo scenario mondiale, e persino europeo, laddove nel 2020 si sono celebrate elezioni di alto rilievo (presidenziali, politiche, regionali, etc.) ed altre si sono già tenute o si celebreranno nel 2021.
Ma, ad ogni buon conto, siamo proprio certi di come agirà l’uomo più apprezzato e stimato del momento?
Il neo Presidente del Consiglio non è forse lo stesso che, da Direttore generale del Tesoro, ha favorito la colossale opera di privatizzazione di buona parte dell’industria strategica pubblica italiana?
Non è forse colui che, sempre negli anni novanta, ha favorito l’emissione dei “derivati”, titoli rivelatisi tossici che hanno devastato persino le casse di numerosi enti locali che ancora ne pagano le conseguenze?
Non è ancora lo stesso uomo solo al comando che, da governatore della BCE, ha salvato l’Euro dalla crisi del debito sovrano, facendo “tutto ciò che era necessario”, persino obbligare l’Italia ad una politica di austerità costata lacrime e sangue in termini economico-sociali ed imposta, guarda caso, da un altro tecnico – banchiere – collega ai tempi anch’egli molto quotato, che era Mario Monti? La storia sembra riproporsi con una ciclicità tale che ci impone una seria riflessione. Ma poiché a noi i parallelismi non piacciono, preferiamo fermarci a riflettere, perché è meglio un no motivato, anziché un sì ciecamente concesso.
Qual è la visione della persona e della società di Mario Draghi e quali gli interessi che egli rappresenta?
Vedremo nei fatti se il peso internazionale del neo Presidente del Consiglio servirà a dare maggiore autorevolezza all’Italia, quanto meno nello scacchiere europeo. O se, come temo, sperando di sbagliarmi, Draghi aiuterà gli amici di Bruxelles e Francoforte sul Meno (città in cui ha sede la BCE) a “tenere a bada” il debito del nostro Paese.
Che sia “buono” o “cattivo”, lo capiremo già nelle prossime settimane e nei prossimi mesi; intanto, “la primavera tarda ad arrivare”, ma speriamo di non doverci ritrovare, alla fine della stagione, ancora una volta, a ripetere con Battiato: povera Patria, povera Italia!