Mi sono preso una pausa dalle parole.
In quest’ultimo mese ho preferito tacere e dedicarmi all’ascolto degli altri.
Non per stanchezza, ma per rispetto di coloro che sono in guerra. Di cos’altro avrei potuto parlare, in questo periodo così complicato, se non di morte e sofferenza?
Null’altro sembra avere importanza al cospetto della guerra.
Eppure, di parole a tal riguardo ne sono state dette troppe. Una cronaca dettagliata ci giunge momento per momento dal fronte, accompagnata da immagini che non avremmo mai voluto vedere. Nei salotti televisivi gli esperti di tattiche militari hanno preso il posto dei virologi, ciascuno con le proprie teorie a volte convergenti, altre volte confliggenti. Guerra e ordinarietà si alternano nel grande schermo e nelle pagine dei giornali con una disinvoltura disarmante, come se si volesse garantire la serenità quotidiana, ma allo stesso tempo non si potesse dimenticare la drammatica eccezionalità del momento che stiamo vivendo. Accade così che uno schiaffo diventi argomento da salotto tanto quanto il ritrovamento di fosse comuni, o che ci si commuova per l’accoglienza di famiglie fuggite dal conflitto e si sorrida l’istante dopo con il comico di turno, chiamato a regalare leggerezza al suo pubblico.
C’è poi chi vive con la preoccupazione che il conflitto degeneri, coinvolgendo l’Unione europea, e chi si sente già in guerra e vive il presente con timore. Chi è contro Putin e chi a favore di Zelensky (non sempre le due posizioni coincidono).
Dinnanzi a questa situazione, mi sono trovato a scegliere: avrei potuto dire la mia, come ho spesso fatto, aggiungendo la mia voce alle altre, oppure avrei potuto mettermi da parte, ritagliandomi un punto di osservazione defilato e proprio. Ho optato per quest’ultima ipotesi.
Dal mio cantuccio ho potuto constatare l’impotenza dell’Onu, la vacuità dell’Europa, l’irrilevanza dell’Italia. Insomma, la crisi dell’Occidente.
Io, che ne ho sempre sostenuto i valori e la cultura, mi ritrovo oggi a non riconoscerlo più, frastornato com’è dal pensiero debole, al quale ostinatamente continua a piegarsi, e dalla inadeguatezza di molti dei suoi governanti, alla cui improvvisazione è affidato il corso delle vicende storiche, la cui deriva guarda, ormai, forse irreversibilmente, a nuovi scenari e assetti geopolitici ed economici.
E la politica?
Nel momento più delicato, ho assistito a un fuoco incrociato di posizioni che parte da Roma e si irradia fino ai piccoli centri. Litigiosità, riluttanza a selezionare i meritevoli, trasformismo senza freni la fanno da padrone a ogni livello. La politica, quella bella, latita ormai ovunque, inghiottita da un pressapochismo imperante e imbarazzante. Che fine hanno fatto i codici deontologici all’ombra dei quali in passato si formavano generazioni di amministratori? Il dibattito ha ceduto il posto agli scontri ingiuriosi, in cui ha la meglio non chi espone contenuti, ma chi utilizza toni più elevati.
Accanto a chi urla, c’è, tuttavia, anche chi osserva e si indigna. E’ per costoro che ho deciso di interrompere il silenzio. Per chi crede che ci sia ancora spazio per la critica, la libertà di pensiero, l’informazione non distorta, la buona politica. Per evidenziare l’importanza di metterci tutti in discussione per ciò in cui crediamo, di non delegare ad altri il compito di costruire un presente e un futuro migliore, di contribuire in prima persona a tessere relazioni civili e alimentare buone pratiche per il bene comune.
Ciascuno di noi fa la differenza, non rinunciamo a questa missione.
(Foto: web)