Non abbiamo avuto nemmeno il tempo di assaporare le notizie sul prossimo allentamento delle misure anticovid-19, dopo due anni vissuti in un tunnel tortuoso e asfissiante che ha segnato la vita di ognuno di noi, da precipitare subito in un altro incubo, in uno scenario, per molti versi, ancora più macabro e imprevedibile.
L’attacco militare sferrato dalla Russia all’Ucraina ci ha fortemente scossi.
Non vi nascondo che questi giorni mi sembrano surreali: sto vivendo realmente ciò che fino a qualche tempo addietro avevo solamente immaginato studiando la storia del novecento.
E’ ammissibile, nel 2022, che uno Stato sovrano venga aggredito militarmente, in palese violazione della più elementare regola del diritto internazionale?
Questo ha rappresentato, senza mezzi termini, dapprima il riconoscimento da parte della Russia delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, poi l’inizio della guerra all’Ucraina.
Ma le cose stanno effettivamente come sembrano?
Lungi da me voler incolpare una parte e assolvere gli altri. Sono infatti fermamente convinto che una guerra non è mai scatenata soltanto da un attore.
Che l’Ucraina fosse una polveriera si sapeva già da tempo. Lo si sapeva dal momento dell’indipendenza. E la situazione divenne ancor più chiara nel 2014, quando il Presidente russo, con un atto di forza, dichiarò l’annessione della Crimea. A seguire, i separatisti filorussi del Donbass proclamarono le due repubbliche di Donetsk e Lugansk. Gli accordi di Minsk portarono uno stato di equilibrio apparente e precario, spesso minacciato dalle iniziative delle varie parti, definitivamente violato in questi giorni.
Li chiamano Stati cuscinetto, sono quelle Nazioni che, per il loro posizionamento geografico, fanno da separazione (o congiunzione) tra aree poste sotto diversa influenza politica. L’Ucraina è uno di questi, come lo è la Polonia, la cui invasione da parte dei tedeschi scatenò la seconda guerra mondiale.
Per avere un quadro più completo della situazione, però, credo sia utile fare qualche passo indietro nel tempo e posizionarci al momento della caduta del muro di Berlino.
Fu quello l’attimo in cui finì di fatto la guerra fredda e implosero le ragioni dell’esistenza dei due blocchi che avevano tenuto ingessato il mondo dalla fine della seconda guerra mondiale.
Di lì a qualche anno l’Unione sovietica si dissolse come neve al sole e nacquero Stati indipendenti in Europa (Ucraina, Moldavia, Bielorussia, Estonia, Lettonia e Lituania, questi ultimi tre oggi sono membri dell’Unione europea), nel Caucaso (Georgia, Armenia e Azerbaigian), in Asia (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan) e, nella maggior parte di quello che era stato il territorio sovietico, la Federazione Russa.
Tuttavia, venuto meno il blocco ex comunista, non avvenne lo stesso per quello occidentale, rappresentato dalla Nato – un’organizzazione politico-militare da sempre influenzata dagli Usa – che a distanza di qualche anno, nel 1999, pose in essere una continua politica di espansione verso l’Est europeo, acquisendo l’adesione di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia e di tre ex Repubbliche sovietiche: Estonia, Lituania e Lettonia.
Ciò nonostante, un significativo passo avanti nelle relazioni tra i due ex blocchi contrapposti si era avuto nel 2002, a Pratica di mare (Roma), dove su lungimirante iniziativa dell’allora Presidente del Consiglio dei ministri italiano, Berlusconi, i Paesi Nato e la Russia di Putin si impegnarono a collaborare per una nuova visione unitaria degli equilibri mondiali, con l’obiettivo primario della lotta al nuovo comune nemico, il terrorismo, che solo un anno prima, negli Usa, con gli attentati dell’11 settembre, aveva dichiarato guerra all’Occidente.
Qualcosa, però, nel frattempo, non ha funzionato, qualcuno non ha portato avanti e fino in fondo quel patto, e ci troviamo, oggi, a rivivere il dramma della guerra.
Alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni, si chiariscono nella mia mente tanti interrogativi che in questi mesi mi hanno tormentato: la crisi delle materie prime, l’aumento incondizionato di gas ed energia forse non sono altro che gli effetti di una guerra già iniziata da tempo e manifestatasi ai nostri occhi soltanto adesso.
Anche in questo caso, a mio avviso, un ruolo rilevante hanno continuato ad averlo gli Stati uniti d’America, che a guida Biden, in politica estera, non ne stanno azzeccando una: prima in Afganistan, con un disimpegno sconcertante che ha consegnato quel popolo alla dittatura dei fondamentalisti, vanificando anni di sacrifici umani ed economici; oggi in Europa orientale, tentando di fatto di mettere agli angoli del ring geopolitico la Russa, che ha reagito in Ucraina come mai avrebbe dovuto ma dopo segnali evidenti di raggiunti limiti di sopportazione.
A scanso di ogni equivoco sottolineo subito che l’azione posta in essere da Putin è da condannare fermamente e da soffocare prima possibile: siamo di fronte a un personaggio che non risponde alle logiche democratiche, che ha sin da subito mirato a colpire e distruggere ospedali e scuole ucraini, ferire mortalmente persone inermi (tra cui anziani, donne, bambini) che in queste ore hanno avuto la malasorte di trovarsi lungo il percorso di invasione delle truppe russe; un uomo, però, molto astuto e determinato, con un piano di azione ben definito, certamente studiato e organizzato da tempo sotto ogni profilo.
Dall’altra parte vi è un Occidente, con in testa gli Usa e la Nato, che ha sempre alimentato mire espansionistiche, facendo di volta in volta leva su interessi economici dei gruppi di potere dominanti al suo interno (una per tutte, tra le più recenti, la guerra in Libia nel 2011), destabilizzando scenari mondiali particolarmente sensibili e determinando, oggi, l’abbandono anche militare dell’Ucraina, dopo averne sedotto l’attenzione per scopi di conquista geopolitici e di accaparramento delle sue ingenti risorse naturali ed energetiche.
E già, gli Usa hanno precisato che non potranno prendere parte al conflitto bellico in difesa dell’Ucraina (non si sono posti lo stesso limite in altri casi) e la Nato è noto non possa intervenire allorquando non sia direttamente coinvolto un suo Stato membro.
Per non parlare dell’Unione europea, che una volta per tutte si dimostra un gigante dai piedi di argilla, incapace di incidere diplomaticamente, inconsistente politicamente, privo persino di un esercito che ne difenda i confini. Quei confini che una deriva della vicenda ucraina renderà sempre più prossimi al conflitto e in pericolo.
La situazione, purtroppo, non è delle migliori, ed è giunto il momento che la nostra classe diplomatica dia prova delle sue capacità per arginare il problema ed evitare che la “questione ucraina” deflagri in una “questione mondiale”; per tentare di ricucire uno strappo violento, che rischia di separare definitivamente l’Europa dalla Russia, nonostante le comuni radici cristiane, e avvicinare irreversibilmente quest’ultima alla Cina. Un’ipotesi che, alla lunga, nuocerebbe anche agli Usa, che hanno sempre lavorato per il mantenimento di una Europa subalterna alle logiche americane e debole politicamente.
Un ruolo rilevante, in questo contesto, è chiamata naturalmente ad assumerlo l’Onu, luogo di incontro delle più qualificate diplomazie mondiali, che devono necessariamente e al più presto trovare una soluzione per far cessare il conflitto.
Se così non sarà, prepariamoci a tutto, nella consapevolezza che altri bracieri apparentemente spenti sono diffusi nel mondo, che aspettano solo un piccolo soffio per accendersi (la Cina, da quanto riferiscono fonti accreditate, sta già pregustando l’attacco a Taiwan).
Da parte nostra cosa fare:
Pregare, come ha chiesto al mondo intero Papa Francesco;
Educare i nostri figli ai valori della pace, del rispetto, del confronto;
Testimoniare che “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”, come ebbe a dire, il Santo padre Pio XII, il 24 agosto 1939, invitando i potenti a dialogare per evitare la guerra. Parole che, se fossero state ascoltate e attuate, avrebbero evitato uno dei più grandi e sanguinosi conflitti che la storia dell’umanità abbia mai registrato, la seconda guerra mondiale.
Che questa volta ci si fermi qui, per il bene e la prosperità di tutti, per la pace nel mondo.
Il mio pensiero, infine, è rivolto al popolo ucraino, che ho avuto modo di apprezzare nel 2006, andando a visitare personalmente comunità e luoghi autenticamente e profondamente europei e cristiani, in un momento storico in cui stava cercando di riscattarsi ed emanciparsi dalla lunga tirannia del regime comunista sovietico.
Un popolo che grida aiuto e che non possiamo lasciare da solo affinché non ripiombi nella condizione di un recente passato dal quale, con molta fatica e sacrificio, anche umano, stava riuscendo a emergere.
Nella foto (sono il secondo da destra), un momento della visita in Ucraina a un campetto in mezzo al bosco dove si radunavano i giovani per fare catechismo clandestinamente durante il regime comunista.