Accadde 75 anni fa. Logorata dalla guerra, l’Italia si rialzò e voltò pagina. Lo fece attuando la strategia più bella, quella della partecipazione. Per la prima volta nella storia tutti gli italiani, ma proprio tutti, purché aventi la maggiore età, furono liberi di scegliere tra Monarchia e Repubblica. Tutti, anche le donne. Tutti, senza alcuna discriminazione, oltre che di sesso, anche di razza, fede politica, condizione economica e culturale. Bisognava scegliere tra la continuità e il cambiamento e il 54% degli elettori scelse di cambiare. Con la proclamazione della Corte di Cassazione, avvenuta il 18 giugno, nasceva ufficialmente la Repubblica Italiana. La legge dei numeri diede ragione ad una risicata maggioranza, ma mise nel contempo in luce una profonda spaccatura. L’Italia divisa in due, tra la voglia di cambiare e la paura di farlo. Fu un incalzare di eventi ciò che seguì al referendum. Il 1º luglio Enrico De Nicola venne nominato primo presidente della Repubblica Italiana; il 13 dello stesso mese Alcide De Gasperi ottenne dal neo Presidente l’incarico per formare il suo secondo governo in assoluto, il primo dell’era Repubblicana. il 1º gennaio 1948 entrò in vigore la nuova Costituzione.
Mai cancellata, piuttosto celebrata in date di comodo, dal 2001, su impulso dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, la Festa della Repubblica abbandonò lo status di “festa mobile” per tornare ad essere festeggiata il 2 giugno, nel giorno che le è proprio.
Mi chiedo, in questa ricorrenza così importante, cosa ci resti dei valori repubblicani.
In un messaggio inviato il 2 giugno 2016 al Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Claudio Graziano, il Presidente della Repubblica elencava una serie di valori: libertà, giustizia, uguaglianza fra gli uomini e rispetto dei diritti di ognuno e dei popoli, definendoli “il fondamento della coesione della nostra società ed i pilastri su cui poggia la costruzione dell’Europa”.
LIBERTÀ
Mai come in quest’ultimo anno ne abbiamo sperimentato l’assenza. Le misure governative, seppur giustificate dall’esplosione dell’emergenza covid-19, hanno di fatto limitato il nostro diritto alla mobilità, alla vita in comunità. Ancor più grave, a mio modo di vedere, il prolungato utilizzo dello strumento dei DPCM, che hanno inciso sulle libertà costituzionali, di fatto esautorando per lungo tempo il Parlamento dal suo compito principale: legiferare.
Per non citare il tentativo, sempre attuale, di approvare leggi “bavaglio” con le quali imporre, fra le altre cose, la dittatura del pensiero unico a danno della libertà di espressione sancita dalla Costituzione.
GIUSTIZIA
Sfogliando le pagine dei giornali in questi giorni, ci si imbatte nella notizia della scarcerazione di Giovanni Brusca, l’uomo che ha premuto il telecomando a Capaci, fatto sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, commesso circa 120 omicidi. Liberato con 45 giorni di anticipo per “buona condotta”. Dura lex, sed lex. La sua “remise en liberté” era risaputa, in quanto “u scannacristiani” – appellativo che gli viene rivolto – era stato condannato a 25 anni di carcere, usufruendo dei benefici che la legge prevede per i pentiti. L’indignazione, tuttavia, resta, come pure – nonostante le sue rivelazioni – le tante ombre su quelle tristi stagioni dell’era repubblicana.
È giustizia?
UGUAGLIANZA
Complicata da realizzare, ideale a cui tendere. La vera uguaglianza non è livellamento e uniformizzazione, quanto valorizzazione delle diversità. Siamo uguali in quanto siamo diversi ma tutti importanti, degni di rispetto e pari opportunità. Un percorso, quest’ultimo, in molti casi ancora lungo da compiere.
RISPETTO DEI DIRITTI
Famiglia, lavoro, salute, istruzione: sono solo alcuni dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione rispetto ai quali le politiche fino ad oggi attuate si sono spesso rivelate insufficienti e/o inadeguate a sancirne l’effettiva tutela e promozione. Per non parlare delle marcate disparità, anche infrastrutturali, tra una parte e l’altra dello stivale.
C’è tanto ancora da fare!
Alla luce di ciò, ritengo sia necessaria una profonda riflessione sul senso di questa celebrazione. Non basta cantare a squarciagola l’Inno di Mameli per celebrare la nostra Repubblica, ma lottare ogni giorno affinché la classe governante si impegni a rendere veramente l’Italia una Res Pubblica, lo Stato di tutti.
Il mio augurio oggi è quello di riscoprire l’amore per la nostra bandiera!
“Non rampare di aquile e leoni, non sormontare di belve rapaci, nel santo vessillo; ma i colori della nostra primavera e del nostro paese, dal Cenisio all’ Etna; le nevi delle alpi, l’aprile delle valli, le fiamme dei vulcani, E subito quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la patria sta e si augusta: il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l’ anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de’ poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi, E subito il popolo cantò alla sua bandiera ch’ ella era la più bella di tutte e che sempre voleva lei e con lei la libertà”.
(Giosuè Carducci, 7 gennaio 1897 – Reggio Emilia 1° centenario della nascita del Tricolore).