«Sai papà, oggi a scuola la maestra ci ha parlato di Giovanni Falcone.»

«E cosa vi ha detto?»

«Ci ha detto che è stato un magistrato che si è battuto fino alla morte per la legalità. Ha combattuto la mafia con tutti gli strumenti che lo Stato gli ha messo a disposizione e ne ha creati di nuovi, come il maxiprocesso. Il 23 maggio 1992, però, a Capaci, l’auto sulla quale viaggiava è esplosa a causa di un attentato. Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.  Qualche mese dopo la mafia uccise anche il suo amico e collega, Paolo Borsellino, assieme agli agenti della sua scorta.»

«La notizia della sua morte si diffuse nel pomeriggio di una calda giornata di maggio. Avevo 13 anni e non dimenticherò mai il dolore e la rabbia di quel momento. Tutta l’Italia pianse. Il suo sacrificio, tuttavia, non è stato vano, perché ha contribuito a generare un vero e proprio movimento di legalità.»

«Vorrei diventare come lui. Ma come?»

« Studia figlia mia. La cultura è l’arma più importante per sconfiggere la mafia. Non dimenticare, inoltre, il valore dell’onestà. Sii sempre una persona corretta, che rispetta le leggi e le istituzioni. Aspetta il tuo turno senza provare a scavalcare chi ti sta davanti, gioisci dei risultati ottenuti con le tue forze e non cercare scorciatoie per raggiungere  gli obiettivi. E poi ama le persone e rispettale.»

«Papà, ma queste sono le regole per essere una brava persona, non per sconfiggere la mafia!»

«Ti sbagli. La mafia si rafforza con l’ignoranza e l’arroganza. Se tutti imparassimo ad essere persone corrette e oneste, aiuteremmo Falcone e Borsellino a trionfare. Non limitiamoci a ricordarli, piuttosto impariamo a imitarli. Per farlo non serve diventare magistrati, basta solo essere buoni cittadini.»