IL GRIDO DEI RISTORATORI, A CUI È NEGATO IL DIRITTO AL LAVORO

Con l’emanazione del nuovo decreto che detta i tempi sulle riaperture e in occasione della ricorrenza della festa del lavoro avverto l’urgenza di esternare alcune riflessioni in merito alle scelte operate dal Governo. Come è mia abitudine, ciò che leggerete in questo articolo non è “la mia opinione” tout court, bensì l’opinione che mi sono fatto dopo aver analizzato le vecchie e le nuove prescrizioni e ascoltato le persone coinvolte. Ritengo, infatti, che nessuno meglio dei diretti interessati conosca le problematiche di un settore piuttosto che di un altro. Oggi vorrei concentrarmi sulla ristorazione, categoria oltremodo penalizzata dalle chiusure di quest’ultimo anno. Ritrovarsi da un giorno all’altro senza possibilità di lavoro non è stato facile. Tanti ristoratori hanno eroicamente resistito, reinventandosi nel settore dell’asporto e del food delivery. Hanno cambiato menù e abitudini e hanno imparato un nuovo modo di comunicare. Esattamente un anno fa, all’atto delle riaperture, sono stati tra i primi ad adeguarsi, distanziando i tavoli e i coperti, organizzando turni, acquistando il materiale necessario per la sanificazione. Misure che, tuttavia, si sono rivelate inutili, visto che con l’avvento delle successive ondate del virus si è nuovamente optato per la linea dura.

La categoria ha responsabilmente accettato le scelte governative e poche, ammettiamolo pure, sono state le proteste, almeno fino a un mese fa.

Che cosa è cambiato nel frattempo?

Perché si è scelta la via della protesta?

Non è solo una questione di “ristori” o “sostegni”. Gli aiuti governativi servono eccome, ma con altrettanta urgenza occorre una pianificazione certa, con protocolli chiari e soluzioni alla portata di tutti.

Senza programmazione, infatti, non si muove il settore delle cerimonie e nemmeno quello turistico.

E poi, diciamo la verità: tutti desiderano riaprire le proprie attività, ma nessuno vuole contribuire a peggiorare la situazione. Contravvenire alle regole significherebbe chiudere nuovamente e ripiombare in un incubo comune. Di questo i ristoratori sono consapevoli e le loro proteste sono un modo per proporre soluzioni pratiche ed efficaci.

Ecco, pertanto, cosa hanno da dirci i ristoratori!

Ho riscontrato in maniera diffusa la sensazione che essi si sentano dimenticati dal Governo; la percezione di risultare di troppo rispetto a un sistema economico – finanziario sempre più orientato a privilegiare i grandi gruppi imprenditoriali, anche nel settore della ristorazione, per destrutturare a loro vantaggio il tessuto produttivo italiano (costituito da piccole e medie attività per il 78,7%, di cui microimprese fino a 10 addetti per il 45,6%).

Le varie misure economiche previste per sostenere il settore – peraltro non da tutti gli operatori percepite a causa di astrusi criteri di valutazione – sono state ritenute, unanimemente, inadeguate a fronteggiare la notevole perdita di fatturato, il pagamento delle utenze e degli affitti, le necessità della vita quotidiana degli imprenditori e delle rispettive famiglie.

Risulta incomprensibile – per citare alcuni esempi – da un lato aver consento il sovraffollamento quotidiano dei mezzi pubblici, senza limitazioni di tratta, come pure le lezioni scolastiche in presenza, con una media di venti alunni per classe, chiusi per almeno 5-6 ore nella stessa aula, e per altro verso aver impedito la consumazione di pasti nei ristoranti, nel rispetto dei protocolli approvati dal Governo e delle distanze di sicurezza.

Ed ancora, le prescrizioni del nuovo decreto sono stato lette come la conferma di un intendimento chiaro del Governo di compromettere irrimediabilmente la stagione turistica 2021.

Mantenere il coprifuoco fino al 31 luglio, peraltro confermandolo alle ore 22:00, si traduce, in termine pratici, nella scelta di dissuadere il turista dal preferire località italiane a vantaggio di altre mete straniere, ove questo limite orario non esiste.

Impedire l’apertura a cena dei ristoranti al chiuso significa dimezzare, per lo meno, la possibilità di lavoro per le attività (la maggior parte) che non hanno spazi all’aperto.

Continuare a prevedere insufficienti misure di sostegno economico, ove elargite, verso chi è costretto a tenere abbassate le saracinesche comporta il rischio concreto di non vederle più rialzarsi.

E così – dopo oltre un anno in cui i locali sono stati sostanzialmente chiusi, il fatturato è sensibilmente diminuito e in taluni casi azzerato, i costi da sostenere non sono mancati, per vivere si è dovuto attingere ai risparmi di una vita o far leva sulla solidarietà di familiari, parenti o amici – la pentola è scoppiata, la protesta ha preso inizio, sempre in maniera civile e composta, per far sentire il grido di sofferenza ai sordi inquilini dei palazzi del potere e proporre soluzioni concrete, quelle che davvero possono contribuire a traghettare questa difficile transizione.

Che fare, alla luce di ciò?

Sono gli stessi ristoratori a proporre le soluzioni più equilibrate.

  • CONSUMAZIONI OBBLIGATORIE AI TAVOLI CON PRENOTAZIONE

Le attuali prescrizioni obbligano i clienti ad acquistare cibo da asporto, ma non limitano le file all’esterno del locale, dove ciascuno attende il proprio turno. La gestione dei tavoli con prenotazione eliminerebbe invece questo inconveniente e l’utilizzo di adeguati sistemi di areazione, uniti al distanziamento dei tavoli, garantirebbe la giusta sicurezza.

 

  • CONTROLLI DIFFUSI ALL’ESTERNO DEI LOCALI

Fermo restando la possibilità di multare i ristoratori che, come chiunque altro, non rispettano le misure di sicurezza, la maggior parte dei controlli dovrebbero essere concentrati negli spazi pubblici. Fintanto che continuerà a esserci il coprifuoco, si potrebbe creare un salvacondotto per chi ha cenato in un locale, attraverso l’esibizione, ai controlli, di ticket di prenotazione o\e di ricevuta di avvenuto pagamento.

 

  • BLOCCO DEGLI AFFITTI E RIDUZIONE DEI COSTI FISSI

Dopo un lunghissimo stop, le attività che riprendono il lavoro si trovano schiacciate dai costi fissi (tasse nazionali e locali, canoni di locazione, utenze ecc.).  Ridurli (e in alcuni casi azzerarli) consentirebbe, quanto meno, di incrementare i già bassi guadagni.

Quelle evidenziate dagli addetti al settore sono proposte ragionevoli e di facile applicazione. Ciascuno di noi, poi, dovrebbe imparare ad adeguarsi alle nuove regole in modo equilibrato.

Il diritto al lavoro è per tutti. Negarlo ad una o più categorie non è degno di un regime democratico, che deve, invece, sperimentare tutti i tentativi possibili per garantirlo.

Riflettiamo su ciò e, comunque, buon I maggio!