A pochi giorni di distanza dal 1° maggio, Festa del Lavoro, c’è una ricorrenza meno nota ma altrettanto importante: la Giornata internazionale per la sicurezza e la salute sul lavoro.
Promossa dall’ILO, agenzia specializzata delle Nazioni Unite sui temi del lavoro e della politica sociale, trova la sua ragion d’essere nella necessità di tutelare non solo la salute, ma anche la dignità del lavoratore.
Oggi più che mai occorre ricordare che l’art. 1 della nostra Costituzione fonda la democrazia italiana sul lavoro, mentre l’art. 4 sancisce non solo il riconoscimento di tale diritto, ma anche la promozione delle condizioni che lo rendono effettivo. Tra di esse, un Governo che ami definirsi “democratico” non può non annoverare anche le strategie e le misure utili a rafforzare la sicurezza.
I numeri, tuttavia, sono impietosi, ci raccontano una realtà ben diversa da quella che vorremmo esistesse. Ogni anno nel mondo si registrano 2,2 milioni di infortuni mortali. Secondo i dati Inail, inoltre, in Italia nel 2020 sono stati denunciati 554.340 infortuni sul lavoro, di cui 1270 con esito mortale. Queste cifre rappresentano la punta dell’iceberg di un sistema di lavoro sommerso e di mancato rispetto delle normative sulla sicurezza. Nei periodi di crisi la situazione tende a peggiorare, poiché la riduzione dell’offerta di lavoro pone chi lo cerca nella condizione di accettare condizioni inique e di sorvolare sul rispetto di determinate normative. La sicurezza, è evidente, rappresenta un costo per le imprese. Un costo dal quale, però, non si prescinde.
Che ruolo hanno o dovrebbero avere le Istituzioni questo contesto?
Un Governo equo tutela il lavoratore, vigilando affinché la parte datoriale applichi rigorosamente la legge. Ci sono Paesi, invero, in cui il primo passo da compiere è l’emanazione di leggi adeguate. Non è il caso dell’Italia, che in questo settore può essere considerata “all’avanguardia”.
Nel contempo, è dovere di chi ci amministra anche fornire aiuto alle aziende, incentivando e aiutando chi rispetta le leggi.
Da due anni a questa parte, inoltre, la Giornata internazionale per la sicurezza e la salute sul lavoro assume un significato ancora più forte. La pandemia da Covid 19 ha infatti contribuito a peggiorare il quadro, già di per sé non positivo. Accanto ai rischi “tradizionali”, se ne è aggiunto uno profondamente insidioso: il rischio di trasmissione del virus nei luoghi di lavoro. La fotografia scattata dall’Inail il 31 dicembre 2020 ci consegna una situazione desolante. Se i decessi in itinere, occorsi cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro, sono diminuiti di quasi un terzo, da 306 a 214 (-30,1%), quelli in occasione di lavoro sono invece aumentati del 34,9%.
Tra i vari settori presi in esame, quello della sanità e assistenza sociale si distingue per il forte incremento delle denunce, che in quasi i tre quarti dei casi hanno riguardato il contagio da Coronavirus. L’aumento è del +206% su base annua con punte superiori al +750% a novembre e tra il +400% e il +500% a marzo, aprile, ottobre e dicembre, nel confronto con i mesi dell’anno precedente.
C’è poi un altro aspetto da non sottovalutare: i rischi psicosociali e la violenza tra le mura domestiche, causati dalle nuove modalità di lavoro.
Alla luce di questi dati abbiamo tutti il dovere di fermarci a riflettere.
Nell’eterna battaglia per la sicurezza ognuno gioca un ruolo importante. Il venir meno anche solo di una tessera del mosaico determina il peggioramento della situazione. Mai come in questo caso è la sinergia tra i vari ruoli a fare la differenza.
Il lavoro è un diritto che va difeso sempre. Non si può morire senza un lavoro, ma non si può morire neanche per lavoro!
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