10 febbraio. Il giorno del Ricordo.
Quella celebrata oggi non è una ricorrenza qualsiasi. Il Giorno del ricordo è infatti una solennità civile italiana, istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, per conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra (1943-1945), e della più complessa vicenda del confine orientale».
Tale legge, a firma del deputato Roberto Menia, rappresenta un importante spartiacque storico, oltre che essere un atto di giustizia volto a restituire dignità a quasi 25 mila italiani, tragicamente morti nel fondo di una foiba, e a circa 350 mila nostri connazionali costretti alla diaspora (le cifre non sono certe e spesso stimate al ribasso).
Dignità e identità.
Perché la morte atroce e ingiusta in una sorta di fossa comune non soltanto rappresenta un gravissimo atto di disumanità, ma nel contempo strappa alle vittime persino il diritto ad essere seppellite e ai parenti quello di piangere sulle loro lapidi. Indegni di una sepoltura e di essere riconosciuti, solo perché italiani!
E non basta!
Dimenticati da quegli stessi connazionali che, per convenienze storiche e politiche, hanno preferito volgere lo sguardo da un’altra parte, fingendo di non sapere e diventando complici di una delle più grandi barbarie perpetrate ai danni del nostro popolo.
Chi di voi ha studiato questa tragedia sui libri di storia? Nelle pagine che raccontano l’epilogo della seconda guerra mondiale, ai miei tempi, si sorvolava sulle vicende successive, menzionando in modo superficiale la questione del confine orientale e degli accordi di Parigi, che di fatto consegnarono alla Yugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana, tra cui Zara, la Dalmazia, le isole del Quarnaro, Fiume, l’Istria e parte della provincia di Gorizia.
Un epilogo datato 1947, volto a mettere fine ad oltre 4 anni di tragedia su una popolazione che visse sulla propria pelle la violenza dell’esercito di Tito, intenzionato a eliminare ogni influenza italiana, e il peso della cortina di ferro, che divideva il mondo in due blocchi, americano e sovietico, e rendeva il nostro Stato politicamente ostaggio di queste egemonie, con il Partito comunista subordinato a Mosca.
Ecco perché la Legge Menia, e ancor prima il gesto dell’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che nel 1991 si recò presso la foiba di Basovizza per chiedere perdono, rappresentano un atto di giustizia!
Vedere oggi i nostri ragazzi fare memoria di questa tragedia mi conforta, restituendomi l’orgoglio di essere italiano.
A loro, ai giovani, va il messaggio più importante: la dimensione umana non può essere calpestata da “progetti politici malati”. Oggi più che mai, con numerose crisi internazionali pronte ad esplodere ed altre in corso, seppur nell’oblio, facciamo tesoro della storia, raccontiamo, rendiamoci “testimoni di umanità” e costruttori di un futuro onesto e giusto.
(Foto: web)