Siamo quello che mangiamo” asseriva nell’Ottocento il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, sostenendo che “un popolo può migliorare migliorando la propria alimentazione”. Per quanto la mia formazione differisca anni luce dalla sua, così come la mia visione del mondo, della politica e del cristianesimo, oggi mi permetto di prendere in prestito una sua frase per introdurre un tema che ritengo molto rilevante, quello dell’alimentazione. L’occasione mi è offerta dall’odierna ricorrenza, che quest’anno, come sottolinea la FAO, assume un’importanza assoluta.

Più di 3 miliardi di persone – quasi il 40% della popolazione mondiale – non può permettersi un’alimentazione nutriente e sana. Gli impatti degli shock climatici, dei conflitti e della pandemia di COVID-19 hanno sconvolto milioni di vite e mezzi di sussistenza, mentre le emergenze umanitarie in 55 paesi tra cui Afghanistan, Etiopia, Haiti, Sud Sudan e altri punti caldi hanno causato sconvolgimenti e peggiorato il sistema di approvvigionamento del cibo.

Di contro, quasi 2 miliardi di persone sono in sovrappeso o affette da obesità a causa di una cattiva alimentazione o di uno stile di vita sedentario.

La sfida, tuttavia, non è solo di “reperire il cibo”, quanto piuttosto “trasformare i sistemi alimentari”. Non a caso il tema della Giornata mondiale dell’alimentazione di quest’anno è “accelerare la trasformazione verso sistemi agroalimentari più efficienti, inclusivi, resilienti e sostenibili per una produzione migliore, una nutrizione migliore, un ambiente migliore e una vita migliore, senza lasciare indietro nessuno”.

Per raggiungere questo obiettivo, illuminanti appaiono le indicazioni contenute nel messaggio di Papa Francesco in occasione di questa giornata, il quale ritiene essenziale a tal fine abbandonare la fredda logica del mercato, incentrata avidamente sul mero beneficio economico e sulla riduzione del cibo a una merce come tante, per rafforzare la logica della solidarietà e così rendere più efficace la lotta contro la fame.

Una strategia per andare nella direzione sopra tracciata, incidendo nel contesto più prossimo a ciascuno, non può che consistere nel sostenere l’economia locale.

Da alcuni anni sentiamo sempre più parlare di “filiera corta” o “alimenti a km 0” e li associamo, giustamente, a un’alimentazione sana.

Tornare indietro per andare avanti

È il paradosso della nostra società. Per anni, dal dopoguerra in avanti, abbiamo cercato di affrancarci da un’economia agricola che sembrava volerci relegare ai margini di un mondo che girava attorno all’industria e al petrolio. Oggi, invece, urge un ritorno alla terra, ma con un’ottica diversa e un profondo senso di rispetto verso di essa.

Penso ai tanti giovani che stanno ripopolando le nostre campagne per lavorarle con una nuova mentalità imprenditoriale e una coscienza ecologica.

Penso alla sempre più diffusa pratica di acquistare i prodotti presso locali mercati del contadino, o addirittura di creare orti urbani, laddove la presenza di un fazzoletto di terra lo consenta, anche tra i condomini o nelle piazze.

Ritengo che ogni amministratore abbia il dovere di favorire questi processi, incentivando un percorso di educazione che parta dall’infanzia.

Impariamo a conoscere ciò che mangiamo, ne apprezzeremo di più il sapore e il valore, evitando inutili sprechi. I primi a beneficiarne saremo noi stessi!

(Foto: web)