C’è una cultura, quella greco-bizantina, che appare ai nostri occhi anacronistica e lontana, pur avendo rappresentato, nella realtà e per secoli, un elemento fondante della nostra storia e della nostra civiltà.

C’è un monaco eremita, Padre Alessio Mandanikiotis, che ha dedicato la sua vita alla riscoperta e valorizzazione di questo grande patrimonio destinato, altrimenti, a perdersi nell’oblio dell’ignoranza e dell’arroganza di una certa cultura incline più a nasconderlo e cancellarlo, anziché favorirne lo studio e la conoscenza, mostrandone la bellezza.

Quell’uomo, che ha scelto di abbracciare la vita contemplativa nella vicina Santa Lucia del Mela, non è un religioso qualsiasi: è il primo archimandrita di origine messinese dal 1908 a questa parte e il solo, in Occidente, negli ultimi cinque secoli, a ricevere il Sacro Angelico abito monastico. Lo scapolare – abito inizialmente indossato dai pastori nel deserto per proteggersi dalle rigide condizioni climatiche di quel luogo – preziosamente ricamato con acronimi e frasi assunte dalla sacra Scrittura e dalla liturgia bizantina, è un importantissimo riconoscimento religioso che rappresenta “l’estremo apprezzamento che la Chiesa Ortodossa esprime nei confronti di monaci, asceti ed eremiti che si distinguono per fedeltà e rara esemplarità”. Mai prima d’ora consegnato in Italia, il suo grande valore è costituito anche dalla rarità con cui viene concesso non solo nella millenaria sede del sacro monte dell’Athos in Grecia, ma anche nelle giurisdizioni ecclesiastiche di Russia, Serbia e Grecia.

Perché Padre Alessio?

La domanda, per chi lo conosce, è puramente retorica, perché l’ultimo anacoreta di Messina rappresenta davvero un tesoro prezioso per tutti.

Per capirlo basta incontrarlo e parlare con lui. I suoi semplici abiti da monaco greco – ortodosso attraggono lo sguardo, mentre la sua voce suadente e lenitiva monopolizza l’attenzione di chi lo ascolta e allevia le sue pene, come uno di quei balsami aromatici orientali che tanto ci piacciono.

Chi ha il privilegio di andarlo a trovare nel suo eremo ne resta inevitabilmente affascinato e non può non sentirsi “piccolo” di fronte all’immensità delle sue conoscenze in ogni campo.

Una dimora semplice la sua, donatagli dagli amati genitori che hanno compreso appieno il destino del loro figlio e lo hanno aiutato nel suo lungo percorso di fede.

In quel luogo, dove chiunque è il benvenuto ed è accolto da padre Alessio con il suo caldo sorriso, l’amore verso Dio è tangibile e si concretizza attraverso l’amore per le piante, per gli animali, per i libri. Nella sua veranda, che sembra quasi una serra esotica, il monaco ascolta i suoi ospiti e li mette a proprio agio. Poi li invita a condividere i luoghi del suo eremo, dove lo studioso approfondisce le sue conoscenze e il sacerdote esercita il sacro culto, celebrando un rito immutato nei secoli, baluardo di una Chiesa, quella bizantina, apparentemente lontana da quella romana eppure profondamente complementare.

Nei luoghi più intimi, Alessio rivela al mondo i suoi “tesori”. E non può non essere considerata tale la Cappella della Candelora, affrescata con immagini raffiguranti la simbologia tipica bizantina e le figure di Cristo, della Madonna, degli Angeli e di tanti, tantissimi Santi italo-greci dell’Italia meridionale, a molti sconosciuti. Padre Alessio li conosce invece uno ad uno, e di ciascuno di loro è in grado di raccontarne dettagliatamente la storia. Niente di ciò che si trova all’interno della Cappella è lì per caso. E quell’insieme di forme, colori, profumi, contribuisce a conferirle quel senso di sacralità che le è proprio.

Conosco Padre Alessio da diversi anni: mi sono arricchito dei suoi saggi consigli e l’ho avuto vicino in frangenti anche delicati della mia vita.

Appresa la notizia della concessione di questo importantissimo riconoscimento ho gioito per lui e per tutti noi che lo conosciamo e lo stimiamo come sacerdote e come uomo. Penso al coraggio che ha avuto nel dire di no a una vita piena di comodità e nel cercare di praticare il monachesimo bizantino nella sua forma più pura e originale. Penso anche al privilegio che abbiamo di averlo così vicino. Senza la sua scelta coraggiosa poco o niente sarebbe rimasto di quel monachesimo greco che si mantenne vivo e operante sulle nostre colline anche dopo la dominazione araba e di cui ci restano poche testimonianze. La nostra storia è intimamente legata a questi monaci dinamici, che lungi dal vivere isolati come si potrebbe pensare, sono stati negli anni baricentro della vita culturale ed economica del territorio. Così importanti, eppure così poco studiati e conosciuti.

Anche Padre Alessio, come i suoi predecessori, ha scelto la vita da eremita non per vivere fuori dal mondo, ma per esserne parte integrante.

Nel tributargli il mio ringraziamento, mi permetto di fare mio, e così rinnovare, almeno personalmente, un auspicio formulato da Giovanni Paolo II negli anni ottanta del secolo scorso, in più occasioni: ”Cosa c’è di più necessario e anche di più urgente, di questo avvicinamento tra il patrimonio spirituale dell’Oriente cristiano e la cultura occidentale, in una Europa di sangue, di lacrime, di lutti, di rotture, delle crudeltà più spaventose”; ed ancora: “Non si può respirare come cristiani, direi di più, come cattolici, con un solo polmone; bisogna aver due polmoni, cioè quello orientale e quello occidentale”.

Operare nella direzione di un avvicinamento, di un maggiore rispetto e confronto tra l’Oriente e l’Occidente cristiano significa, anche, contribuire a curare e risanare l’Europa, un continente sempre più ferito, lacerato, alieno da se stesso; vuol dire riprendere un cammino e un processo valoriale, culturale e sociale nel quale, per risollevarsi veramente, bisognerà tornare a respirare con questi due polmoni.