ECCO IL PERCHÉ.

Gli animalisti non condividono il fine della loro pratica, gli ambientalisti li considerano nemici della natura, la Regione, dal canto suo, concede loro i tesserini, ma non emana una legge chiara, esente da possibili impugnative e varie interpretazioni. Nel mezzo di questi fuochi incrociati ci sono loro, i cacciatori, una categoria che non conosco bene, in quanto totalmente ignaro dalle dinamiche di caccia, ma che oggi mi sento di difendere.

Pur non amando né avendo mai praticato questa disciplina, ritengo non possa essere discriminato e penalizzato chi la esercita nel rispetto di leggi e prescrizioni. Perché la caccia – l’ho meglio compreso in questi giorni, leggendo articoli e raccogliendo testimonianze al riguardo – rappresenta per gli appassionati un espediente per una fuga dal mondo “civilizzato”, una totale immersione nella natura, un modo per socializzare e condividere questa esperienza con il proprio gruppo di amici. Per altro verso, e soprattutto, è uno strumento di controllo che cerca di mantenere l’ecosistema di un determinato territorio in equilibrio e, di conseguenza, aiuta a prevenire le negatività e i danni che il sovrannumero di certe specie animali può causare. Partendo da questa constatazione mi sono chiesto come possano non amare la natura persone che, per scelta, decidono di immergersi totalmente in essa per ore e ore.

Ritengo, pertanto, che valga la pena soffermarsi qualche istante sugli aspetti emersi in questo fine settimana, a ridosso dell’apertura della stagione venatoria, bloccata in extremis dal Tar e in procinto di ripartire grazie all’intervento della Regione Siciliana, che ha emanato un nuovo calendario, rispettoso delle osservazioni dell’ISPRA.

I fatti

La doccia fredda per i cacciatori è arrivata la sera del 31 agosto quando, a poche ore dall’apertura della stagione venatoria, Il Presidente del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione di Catania, ha sospeso il Calendario della Regione siciliana almeno fino al 1° ottobre, data indicata da ISPRA (Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale) in un parere rilasciato alla Regione ma da questa non accolto. A presentare ricorso erano state le Associazioni ambientaliste e animaliste WWF Italia, Legambiente Sicilia, Lipu BirdLife Italia, LNDC Animal Protection ed Enpa.

Tra le motivazioni addotte dal Tar, la situazione emergenziale nel territorio siciliano, a causa dei numerosi incendi che hanno provocato effetti devastanti tanto sulla vegetazione quanto sulle specie animali presenti.

Subito dopo, però, la Regione siciliana, con decreto assessoriale n. 47 dell’1/9/21 (clicca sul link per leggerne il contenuto integrale: https://www.regione.sicilia.it/sites/default/files/2021-09/DA%2047%20DEL%201-9-21%20MODIFICA%20CALENDARIO%20VENATORIO%20%202021_2022%20%2BALLEGATI.pdf), ha emanato un nuovo calendario, prevedendo per sabato 4, domenica 5, sabato 11 e domenica 12 settembre 2021 la cosiddetta “pre-apertura”, ovvero  una sorta di apertura limitata alla sola caccia del colombaccio e del coniglio selvatico, rimandando alle date successive la possibilità di ampliare le specie cacciabili.

L’ennesima pagina di questa querelle, probabilmente, la scriverà il Tar il prossimo 7 ottobre, quando dovrà decidere sul ricorso.

Cosa non va?

1 – La tempistica

I cacciatori siciliani sono stati accusati dagli ambientalisti di non aver rispettato la sospensiva, quantomeno il primo giorno.

Personalmente non credo che a nessuno di loro interessi perdere il tesserino venatorio per una sfida alle istituzioni. È pur vero che i tempi della sospensiva del Tar sono stati “anomali”. La decisione è infatti stata annunciata alle 20 circa del 31 agosto. A quell’ora molti appassionati di caccia si trovavano già lontani dalle loro case, in isolati rifugi di montagna dove avrebbero trascorso la notte in attesa di poter cacciare all’alba. Luoghi dove spesso il segnale telefonico latita e dove, forse anche per scelta, il tempo si ferma e la tecnologia non entra. Facile, pertanto, che lo abbiano saputo durante la giornata, ma non per colpa loro.

2- Chi caccia paga le tasse

Ogni anno, ad agosto, assistiamo al solito braccio di ferro tra ambientalisti e cacciatori, giocato spesso a colpi di ricorsi amministrativi, con il risultato che l’avvio di stagione subisce sempre slittamenti. Eppure, cacciatore non ci si improvvisa e per esserlo bisogna pagare le tasse ed avere l’autorizzazione della Regione. Stando a quanto riferitomi dai diretti interessati, le spese fisse (tasse e assicurazione obbligatoria) ammonterebbero annualmente a circa 300 euro, senza contare le spese per la detenzione e manutenzione delle armi, quella per le trasferte e via dicendo. Che senso ha, pertanto, autorizzare e poi negare? Non sarebbe più utile una legge chiara ed esente da equivoci e differenti interpretazioni?

3 – Gli incendi e la caccia

Ritengo che in questa vicenda ci sia stata una comunicazione volutamente fuorviante e maliziosa, che ha quasi lasciato a intendere che la colpa degli incendi sia dei cacciatori, o ancora peggio, che questi ultimi non esiterebbero a cacciare nelle zone colpite dal fuoco, favorendone una ulteriore depauperazione. Non è così. Il fuoco, nel suo incedere, distrugge tutto e induce alla fuga gli animali superstiti. La legge sulla caccia (in Sicilia Legge n.33 del 1997) prevede inoltre che, laddove ci sia un’area interessata da incendi, in essa per 10 anni sarà vietata l’attività. Ma allora che senso ha il ricorso proposto?

Non solo. In Sicilia la maggior parte degli incendi boschivi hanno interessato le aree protette, luoghi dove la caccia è sempre interdetta.

Esaurite queste argomentazioni, ed essendomi interessato alla questione, provo adesso a ragionare su un altro aspetto:

la caccia, gli animali e il loro rischio di estinzione.

Un dato, su tutti, mi ha indotto alla riflessione: rispetto agli anni novanta il popolo dei cacciatori italiani si è dimezzato. In Sicilia siamo passati da oltre cinquantamila persone e circa ventiquattromila. Questa riduzione sembra, tuttavia, essere direttamente proporzionale alla diminuzione della selvaggina. Come è possibile? Evidentemente esistono altri fattori che contribuiscono ad alterare gli equilibri naturali: le sostanze nocive, i cambiamenti climatici, la mancanza di acqua. A questi, bisogna aggiungere l’aumento di “nocivi”, ovvero di animali che uccidono altri animali e creano danni all’ambiente e talvolta anche all’uomo. Cito, ad esempio, l’esponenziale diffusione dei cinghiali sui Nebrodi e non solo, che ormai si spingono fino ai centri abitati e non esitano, in taluni casi, ad aggredire persino l’uomo.

La caccia ad alcune specie potrebbe contribuire a ristabilire l’equilibrio talvolta violato persino dalla natura.

Il mio invito, dunque, è rivolto in primis alle associazioni ambientaliste: i cacciatori non sono dei nemici! Anche loro hanno a cuore la tutela dell’ambiente e solo attraverso una collaborazione reciproca si potrebbe riuscire ad apportare miglioramenti.

Se, al contrario, ci si trincera dietro steccati ideologici ed etichette prestabilite, si rischia di rimanere impantanati nella palude della burocrazia, senza risolvere il problema.

(Foto:web)