Vi è capitato, di recente, di programmare dei lavori di ristrutturazione, ma vi hanno presentato un conto troppo salato, mentre i tempi di attesa dei materiali si sono inspiegabilmente allungati? Avete provato ad acquistare la Playstation 5 per i vostri figli, ma non siete riusciti a trovarla da nessuna parte? Tutta colpa dell’aumento generalizzato ed esponenziale dei costi delle materie prime.

Se ne parla già da diversi mesi e solo adesso dai mercati internazionali giungono timidi segnali che fanno sperare in una inversione di tendenza. Una problematica globale, che tuttavia crea notevoli disagi a livello locale e persino negli acquisti di ogni giorno, punto di arrivo di una catena che parte dalla produzione e che ha rischiato seriamente di interrompersi.

Mi sono chiesto il perché di un simile fenomeno. Il mio primo step è stato quello di chiedere agli artigiani, ai commercianti, ai piccoli produttori locali, per comprendere da vicino le loro problematiche e ciò che, secondo loro, poteva esserne la causa.

Alcuni imprenditori edili mi hanno spiegato che il prezzo del ferro tondo per cemento armato è cresciuto, nella passata primavera, di oltre il 100%, mentre le altre materie prime, tra cui persino le pietre e i marmi, scarseggiano. Alle stelle anche il prezzo del legname. Secondo alcuni di loro l’aumento indiscriminato dei prezzi è legato alla pandemia, per altri la colpa sarebbe tutta della Cina, che avrebbe fatto incetta di materie prime. C’è anche chi imputa la difficile situazione esclusivamente ad un innalzamento della domanda legato al superbonus.

Dove sta la verità?

Per capirne di più ho iniziato a leggere articoli scritti da fonti referenziate, a cercare dati ufficiali, spaziando non senza difficoltà tra economia, finanza, politica economica e coloniale, geografia, logistica.

E ho capito chiaramente che un effetto può essere legato a molteplici cause.

Vediamo quali.

 

Cause reali

Durante il primo lockdown il mondo si è fermato e con esso anche l’economia ha subito un drastico rallentamento, con una notevole ripercussione sui prezzi delle materie prime, che sono crollati del 20\30%. In una situazione come queste un buon giocatore ne avrebbe approfittato per fare incetta di scorte. La maggior parte dei Paesi però, in tutt’altre faccende affaccendati, non lo hanno fatto. Tutti meno uno: la Cina, che forte della sua pianificazione economica e avvantaggiata dal fatto di essere uscita in anticipo dalla prima ondata di Covid, ha iniziato a riempire i propri magazzini. Ai primi accenni di ripresa, l’Europa intera si è ritrovata senza scorte, generando una impennata della domanda di materie prime che ha determinato un consequenziale e proporzionale innalzamento vorticoso dei prezzi. Si tratta, a ben pensarci, dei fondamentali dell’economia, secondo cui il prezzo di un bene dipende dalla domanda e dall’offerta. In una economia ideale, pertanto, il sistema tenderebbe naturalmente verso l’equilibrio.

Ma allora che cosa è successo?

 

Cause finanziarie

È accaduto che la finanza ci ha messo lo zampino. Tutta colpa della debolezza del dollaro, moneta di riferimento per le materie prime, che ha reso il loro acquisto in euro o in altre valute un vero e proprio investimento, aprendo il campo agli speculatori.

 

Cause logistiche

Da non trascurare neanche l’influenza della logistica, basti pensare che gli oneri di nolo marittimo hanno registrato, a causa del nuovo regolamento per la transizione green, un +605%. Il blocco del canale di Suez, a suo tempo, ci aveva fatto capire come il trasporto globale di merci avvenga via mare. Trarne le conseguenze, a questo punto, è semplice.

Una volta messo piede nel misterioso mondo dell’economia e della finanza ne sono, tuttavia, rimasto affascinato, al punto da compiere il passo successivo e sconfinare nella politica economica, finanziaria e coloniale di alcuni Stati, argomento che avevo già sfiorato nell’articolo “Il Colonialismo senza fine del Congo” (https://www.valentinocolosi.it/2021/03/03/il-colonialismo-senza-fine-del-congo/)

 

Le transizioni green e digitale  e il monopolio di alcune “commodities” chiave.

Secondo i dati resi noti dalla IEA, l’Agenzia internazionale dell’energia, tra il 2020 e il 2040 i ricavi ottenuti dalla produzione del carbone saranno notevolmente superati da quelli legati ai minerali utili alla transizione energetica. Ciò significa che se oggi gli estrattori di carbone guadagnano dieci volte di più rispetto agli estrattori di litio, rame, cobalto e terre rare, tra vent’anni la situazione sarà capovolta.

Un buon investitore su cosa punterebbe?

Ovviamente sui nuovi minerali.

Ancora una volta la pianificazione premia la Cina, che già da tempo ha creato un sistema infallibile: il rame, il litio e alcune terre rare li estraggono sul loro territorio. Il nichel lo prendono dalle Filippine e dall’Indonesia, il Cobalto in Congo. Ciò grazie ad accordi con questi Stati, ai quali hanno garantito la realizzazione di opere pubbliche, spesso mancanti, soprattutto in Congo, ma non il rispetto dei diritti umani. Cito come esempio di quanto sostenuto la situazione delle miniere del Congo, dove  il cobalto è estratto dai bambini.

Una volta fatta incetta delle materie prime chiave, le trasformano in patria. Non è un caso, pertanto, se le batterie e le altre componenti degli smartphone, ad esempio, sono quasi totalmente di provenienza cinese.

E l’Europa?

Fino ad ora è stata a guardare. Solo di recente ha iniziato a prendere posizione, attraverso la costituzione della Alleanza per le materie prime. Le direttrici da seguire sono queste:

– l’estrazione delle materie prime presenti sul territorio;

– il riciclo delle materie prime pregiate;

– lo sviluppo sul territorio di attività di trasformazione;

– l’imposizione a livello globale di standard unici e reali per il rispetto dei diritti umani.

L’Europa, insomma, deve prendere decisioni importanti e persino dolorose.  Non è vero che il Vecchio continente è povero di minerali. Esistono, seppur non in grandissime quantità, giacimenti di litio, cobalto, nichel, ma bisogna estrarli con le tecniche più innovative esistenti e poi impedire che raggiungano il Sol Levante per essere trasformati. Oggi più che mai, l’Europa ha il dovere di promuovere un approvvigionamento sano, evitando anacronistiche forme di colonialismo. Ha ancora il dovere di evitare la dispersione di queste commodities, potenziando al massimo il loro riciclo e di promuovere una politica economica e industriale seria, possibile solo se il bene comune viene anteposto agli interessi della singola nazione.

In caso contrario, il Vecchio continente vedrà tramontare definitivamente il suo ruolo a livello globale, con conseguenze inevitabili e poco belle per tutti.